sabato 10 settembre 2011

E se le scuole cittadine ce le giochiamo a briscola o a tre sette ......
Sono indignato né i sciacqua trippa di serie A né gli altri (vi risulta che ci sono? A me no!) hanno sentito il bisogno di difendere le scuole cittadine (solo la segreteria gli interessa all’amico). Se siete interessati a capire qualche cosa leggetevi la Deliberazione delle G.C. n. 79 del 24.08.2011.
Io, si sa, per quel che ci capisco, ho dato uno sguardo (di più non potevo perché il vomito mi impediva di leggerla tutta) e la riporto di seguito.
OGGETTO: Programmazione rete scolastica. Determinazioni.
Ascoltata la relazione del Presidente in merito all'oggetto;
Vista la nota dell’Assessorato all’Istruzione, Università e Ricerca della Provincia di Reggio Calabria n. 288532 del 11.08.2011 che chiede di avanzare delle proposte in merito al piano di dimensionamento della rete scolastica e dell’offerta formativa relativa alle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado site nel Comune di Molochio;
Considerato che pur non rientrando questo Istituto nei parametri dettati dalla Legge Regionale n. 111/2011 ai fini della conservazione dell’autonomia, si rende necessario valutare la complessità dell’Istituto Comprensivo Statale Molochio – Varapodio, con Molochio comune montano e con popolazione scolastica di circa 500 alunni nell’eventuale ipotesi di una deroga legislativa alla programmazione della rete scolastica;
Atteso che rendendosi necessaria l’aggregazione questo Ente non intende avanzare alcuna proposta specifica, stabilendo però che vengano valutate la convenienza di soddisfare al meglio le esigenze della popolazione scolastica interessata e la possibilità di mantenere, presso questa sede, sia gli Uffici della presidenza che quelli amministrativi;
D E L I B E R A 1. Di non avanzare alcuna esplicita proposta in merito all’eventuale aggregazione con altri Istituti, rimettendosi alle determinazioni che l’Assessorato riterrà più opportune, tenendo però in debita considerazione la opportunità di non creare notevoli disagi alle popolazioni interessate;
2. Di formulare espressa richiesta che venga mantenuta, presso questo Comune, la personalità giuridica e l’attuale assetto e localizzazione degli Uffici di Presidenza e degli altri Uffici amministrativi.
….. Se anche voi volete vomitare usate il cesso per favore
IL RACCONTO
A VIGNA “DU ZZI MICU”

Domenico Calderazzo, di professione colono, nato e residente a Jatrinoli, circa settanta anni di età, aspetto fisico somigliante all'omino coi baffi della Bialetti, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale ha ucciso la moglie. Venne prosciolto da tutti i tribunali, corti d'assise, corti d'appello e cassazioni di tutto il cosmo per aver agito in stato di legittima difesa.
La defunta venne strangolata dopo che la stessa aveva tentato di avvelenare il povero marito, iniettando di topicida la proverbiale “cortara” piena di vino. Venne anche pubblicamente e solennemente premiato il cavaliere Domenico Calderazzo per avere salvato Jatrinoli dal folle tentativo vendicativo di moglie infedele, traditrice e, diciamolo pure autentica “zocculara”. Si diciamolo pure perché la storia è storia ed è l'unica scienza esatta. Venne insignito, per tale atto eroico, con il titolo di cava¬liere al merito dell'intera umanità. Il sig. cav. Domenico Calderazzo, meglio noto ed affettuosamente in Jatrinoli come “u zzi Micu”, possedeva con lascito testamentario del barone Gualtiero Miccia, in contrada “lucazzedu” un piccolo appezzamento di terreno, quasi da definirlo Pollicino, dove però rigoglioso insisteva un vigneto che partoriva un 'uva meravigliosa dalla quale si ricavava un prelibato rosso che soave dolcificava e rinvigoriva. Dopo aver sistemato in Francia i suoi quattro figli naturali (nessuno dei quali portava il suo cognome) ed avuti durante una relazione extrauterina con una cugina della zarina di Russia ed i cui nomi sono: Tristano, Isotta, Giulietta e Romeo.
In quella lillipuzziana tenuta di campagna con blocchi di cemento e lamiere arrugginite, avute, dopo averle barattate con due fiaschi di vino da uno spazzino compiacente, u zzi Micu costruì una minuscola casetta colonica. Nell'entrare giganteggiava la pergamena del cavalierato e poi con dimensioni mastodontiche il quadro raffigurante lo strangolamento della moglie avvelenatrice. U zzi Micu guardava questo quadro almeno dieci volte al giorno e sorridendo si autocongratulava. Diventava orgoglioso e fiero. In quella microscopica casetta giacevano su piccoli “trispitti” lotti di vino. Anche un nano caminetto si era fatto costruire u zzi Micu da quello stravagante artista che aveva immortalato la scena dello strangolamento uxoricida.
Il tutto per tre piatti di pasta e fagioli e sei fiaschi di vino. U zzi Micu intuendo per primo i benefici della rottamazione dotò la casetta e la campagnetta di tutti i comforts, niente mancava e dopo aver fatto l'ennesima “vrazzata” alla di lui moglie strangolata scoreggiò sonoramente e poi sor¬rise in modo animalesco facendo un'altra “vrazzata” alla moglie. Poi pensò ai figli e che gioia - finalmente. Tristano è ingegnere aerospaziale, Isotta è professoressa di filosofia del diritto, Giulietta è avvocatessa e Romeo è un luminare delle scienze delle comunicazioni. Che belle soddisfazioni per un padre esemplare. Si commosse u zzi Micu, in fondo anche i duri hanno un cuore. U zzi Micu è di animo buono come pochi e buoni i suoi amici che di frequente alloggiavano nella sua vigna, portando allegria e ricevendo cordiale ospitalità. Solo vengono poste due piccole condizioni:
a) è vietato rigorosamente “pisciare” dentro i confini della vigna;
b) è obbligatorio fare a “vrazzata” guardando con intensità il quadro raffigurante lo strangolamento.
I compagni di merenda, di questo minuscolo paradiso terrestre al quale a “vigna du zzi Micu” la faceva da padrone, tutti aventi un comune denominatore, erano rispettabilissime persone. Filippo Ricavi, detto “Filippuzzu” era famoso a Jatrinoli, oltre che per la sua somiglianza ad un personaggio dell'alta finanza internazionale, per aver picchiato e denudato in pubblica piazza cittadina davanti a migliaia di persone la propria moglie, rea di aver partecipato senza relativa autorizzazione, ad un concerto di musica leggera. Cecè Vibonese. detto Polifemo in l}uanto il solo occhio funzionante sembrava essere messo al centro del cranio.
Costui veniva ricordato nella cittadina per aver mozzato la mano sinistra della propria consorte sorpresa nel tentativo di alleggerire il portafogli.
A queste merende partecipava anche Giuseppe Ferritto, detto Pep¬pino, un omosessuale bipartisan avente un notevole spessore altimetrico tale da pulire caminetti di intensa profondità. Si narra che subito dopo il matrimonio impiccò la vecchia moglie lesbica in una trave del vecchio mulino nei pressi di una fiumara. Per la legge fu un suicidio. Altro commensale gradito in queste cerimonie un simpaticone romano Ettore Papillo, con vaghe somiglianze ad una palla di neve, famoso per aver bruciato viva in un pagliaio alle foci del Tevere la propria moglie, colta in flagranza di reato mentre recitava versi satanici. Ultimo degli ospiti ed il più riverito Angelastro Vinastro, somigliante al rag. Fantozzi ma dotato da madre natura di ritmi poetici spumeggianti ed altre ordalie. Ricondotto a Jalrinoli dalla Lombardia dopo aver mozzato dal vivo la lingua alla propria moglie, pugliese di nascita ma felsinea di adozione, in quanto la stessa in un mercatino rionale aveva dato una mancia superiore alle possibilità ad una zingara.
Niente da obiettare l'unione del gruppo è lampante. Un gruppo omogeneo e ben amalgamato. Un patto viscerale lo univa. Quasi ad echeggiare: “Uxoricidi di tutto il mondo uniamoci”.
È questo il grido gioioso, ripetuto all'infinito con voce trionfante, mentre i graditi ospiti all'ombra della “vigna” vengono gratificati sempre con leccornie locali e vino tipico della celebre vigna. In genere le pietanze, ad hoc preparate con eccelsa sapienza “du zzi Micu”, riflettevano lo stato d'ansia e d'agitazione dei convenuti: baccalà fritto, olive “i ggiarra”, peperoncini rossi arrostiti e tracimati con olio e sale, acciughe salate, “patatini fritti ca scorza e con peperoncini”, “stoccu nzalata”, “casu chi vermi”, melanzane sott'olio, “patati cu stoccu”, “ventricedi ripiene”, “nduja”, salame e provolone piccante allietavano i partecipanti ed il tutto accompagnato con lupini, mele e finocchi raffinati con aceto.
Il tutto gratis, pagava “u zzi Micu” ed ecco spiegata la leggenda “da vigna du zzi Micu” ed il tutto alla grande facciazza delle mogli.  (di Mario Cannizzaro  tratto da “quel che scrissi scrissi” edizione Arianova luglio 2011)
.... Questo è solo un bel racconto. Quello che succede a Molochio (nel comune) non è nemmeno a "vigna du zzi Micu" perchè ormai questa non basta più ora si mira alla sostanza i "sordi fannu u nci veni a vista"
Poveri, i molochiesi che ancora si fanno prendere (e forse la prendono).
La  Portacollana invece sta bene dalla "vigna" gli basta raccogliere quello che gli serve per se e la sua famiglia. Il resto lo lascia ai passeri (agli uccelli).